di Andrea Sardi
CAFE’ DOMINGUEZ – Attraverso le nostre precedenti conversazioni potresti essere arrivato alla conclusione che, nella visione mitologica del Tango, il Fato abbia un ruolo così importante, nel determinare la nostra vita, da annullare completamente il libero arbitrio. Certamente, con il suo inaspettato e repentino intervento, rende chiaro che non v’è nulla di eterno, nulla destinato al per sempre: non la vita, né i tesori che essa racchiude. Eppure, svelando questa dura verità, il Tango ci sollecita a non sciupare questi tesori, a riconoscerne il loro immenso valore.
E’ per questo che ho scelto, per celebrare questo nostro nuovo incontro, le parole di Francesco Gorrindo: “La vita è breve e bisogna viverla, non dobbiamo fidarci del domani. Se oggi la bugia si chiama sogno, forse domani sarà la verità…” [La vida es corta, Tango, Música: Ricardo Tanturi, Letra: Francisco Gorrindo]
Possiamo scegliere di vivere ciò che è accettandone luci ed ombre, come suggerisce Gorrindo: “.. La vita è breve e devi viverla, felice accanto a una donna, che anche se ci mente, davanti ai suoi occhi, ci son pur sempre molte ragioni per amarla…”.
Oppure possiamo optare esattamente per il contrario: scegliere di allontanare chi ci fa soffrire, scegliere piuttosto la solitudine, senza averne paura “… Fin da quando ero ragazzo, ho camminato da solo, sai come sono stato. Eppure mi hai amareggiato, come nessuno mi ha amareggiato. Ecco perché la porta della mia prigione e del tuo nido, dal giorno in cui te ne sei andata non si è più aperta per nessuno. Non mi cercare, è inutile, non non ho paura!… Lasciami seguire la sorte del cardellino o del passero. Per noi è troppo tardi. Che dicano che sono un codardo. Mi piace essere come sono…” [Dejame vivir mi vida, Tango, Música: Roberto Giménez, Letra: Roberto Rufino]
Chissà se queste parole ti evocano un vissuto. Se così è, scegli uno di questi tanghi e decidi con chi vuoi condividerlo. Chissà quali emozioni rivivrai e comunicherai. Acuta nostalgia? Pacata accettazione? Cos’altro? Ascoltati, impara a ballare con te stesso, poiché altrimenti, come potrai ballare con un’altra persona?
Tra l’accettazione di una donna non perfetta (detto con un velo di ironia: sarebbe da vedere fino a qual punto si spinga questa imperfezione… ) e l’orgoglioso rifiuto d’essere di nuovo ferito, c’è anche il desiderio di dissoluzione di chi ha scelto la vita del nottambulo, trasgressiva, certamente goduta con spavalderia…almeno fino al momento in cui non si fanno i conti con la fragilità indotta dall’amore.
A quel punto, per un viveur la scelta più naturale è forse quella di cercare proprio negli eccessi di quelle notti, che prima han portato divertimento, poi amore, poi dolore e smarrimento, ora lo stordimento della coscienza: “… Sono sempre stati i miei migliori compagni, i ragazzi della milonga, giocatori d’azzardo e qualcosa di più. E con loro, notte dopo notte, ho speso, tra una bevuta e un’altra, un ballo e l’altro, questa vita che se ne va… Durante quelle notti ho conosciuto la donna che tu sai, e non vorrei ripetere quello che ti ho detto ieri sera. Tutto, tutto ho perso, di lei ho solo conservato quella foto che è lì e che non voglio più vedere…. Arrivano sempre, nelle mie notti di veglia, le tue parole di conforto, amico, per alleviare la mia solitudine. Non posso più reagire, sono vinto. Solo così cerco di dimenticare: con la mia eterna inquietudine di nottambulo”. [Trasnochando, Tango 1942, Música: Armando Baliotti, Letra: Santiago Adamini].
Lo stesso nottambulo piuttosto che assecondare il desiderio di dissolversi, potrebbe abbandonare il suo stile di vita disordinato per tornare a quei valori che nella mitologia del Tango sono rappresentati da una serie di simboli concentrici: al centro di tutto la figura della Madre, attorno a lei il Focolare, e poi il Barrio (quartiere natio) e quindi l’Arrabal (l’insieme di tutti i quartieri periferici). Simboli che si contrappongono al lussurioso Centro della città, dove ci si può solo smarrire: “… Garsonier, corse di cavalli, bische, bicchierini da vizioso e coccole passeggere…ingannevoli baci di donna… Tutto ho sepolto nell’oblio del passato chiassoso… Oggi, vedi, sono tranquillo…Ecco perché, pacatamente, ti supplico di non venire a turbare la mia dolce pace; lasciami con mia madre, che al suo fianco, virtuosamente, costruirò un’altra vita, perché mi sento capace…” [Tengo miedo, Tango 1928, Música: José María Aguilar, Letra: Celedonio Flores]
C’è anche chi, per contro, sceglie di allontanarsi da questi sacri valori, di intraprendere il cammino verso il Centro, attratto dalle vivide luci delle sue strade e delle insegne dei locali notturni, così come dalle penombre delle milonghe, anelando di perdersi tra diversi profumi, diversi sguardi, profili che anche io intravedo nel crepuscolo del passato, abbracci che per un attimo tornano a stringermi, nel ricordo: “… Per questa strada camminavo in pallide aurore, con passo fermo verso la giornata di lavoro; gentile e semplice era il giro delle mie ore; amore di madre, amore di sposa…sempre amore! Per questa strada in una notte fredda e inquieta, sono uscito dal mondo buono e puro del passato. Ho girato l’angolo senza pensare a ciò che perdevo, me ne sono andato senza meta, per non tornare mai più…” [Barrio pobre, Tango 1926, Música: Vicente Belvedere, Letra: Francisco García Jiménez]
Mi chiederai quale sia stata la mia scelta. Credo d’aver sperimentato di volta in volta quanto potevo, d’aver percorso più strade, a volte sfiorando con leggerezza i fiori che s’offrivano al passaggio, altre arrancando su sentieri sassosi in notti inquiete e fredde come il personaggio di quest’ultimo tango. E a chi mi diceva cosa sarebbe stato meglio avessi fatto, per evitare le esperienze più dolorose, specie quelle d’amore, forse le più dolorose che un uomo o una donna possano provare, ho risposto con le parole di Homero Expósito: “Io ho vissuto girando per il mondo, creando il mio destino … E nelle pozzanghere della strada, l’esperienza mi ha aiutato … ed ho capito che nella vita, l’unico modo per salvare le scarpe è andare in ginocchio… Per questo, ne ho abbastanza dei consigli sulle cose dell’amore perché, anche se devo ancora imparare, nessuno lo conosce meglio di me…”. [Qué me van a hablar de amor, Tango 1946, Música: Héctor Stamponi, Letra: Homero Expósito].
E a tal proposito ti lascio con un piccolo aneddoto personale. Dopo una notte brava milanese, trascorsa con amici ed amiche nei locali del centro, mi ritrovai con alcuni di loro, abbastanza alticci, a casa mia: era meglio si riprendessero un po’ prima di tornare alle loro dimore in auto. Uno di loro, ben più giovane di me e che non era stato mai mio ospite, guardandosi intorno ed osservando le languide figure di donna dallo sguardo inquieto dei miei dipinti e gli oggetti che venivano dai più disparati luoghi del mondo mi disse: “Come mi piacerebbe vivere una vita come la tua!”. “Attento” gli risposi “perché il Fato potrebbe accontentarti…”.
Amico, amica mia, scegli la tua vita, scegli il tuo tango.
E vivili!